Call

Riflessioni sulle dimensioni sociali della conoscenza nell'uso e sperimentazione delle sostanze psicotrope.

In Italia la confusione volutamente creata nel dibattito pubblico isituzionale intorno al problema del consumo di 'sostanze stupefacenti' rende oggi sporadica e difficoltosa per molti 'consumatori', la possibilità di riflettere criticamente e collettivamente sulla natura sociale dei saperi, teorici o incorporati, legata all'assunzione di droghe.  La dimensione  della conoscenza non solo viene sottovalutata, ma addirittura rimossa dai discorsi istituzionali sulle droghe, e vale la pena chiedersi in che termini e con quali conseguenze per la società. Tollerare di principio il consumo e punire di fatto ogni azione legata all'acquisizione e uso pubblico delle sostanze, significa sottrarsi ad una responsabilità sociale e politica. L'esclusiva concessione dell'uso privato delle sostanze (ovvero l'obbligo di consumarle privatamente e individualmente) non fa che negare la dimensione sociale del loro consumo, il cui riconoscimento è fondamentale nel controllo e contenimento dei fenomeni sociali negativi legati all'abuso di stupefacenti. Solo di recente si sono affermate politiche di riduzione del danno basate sulla comunicazione (che è un aspetto distributivo della conoscenza), ma anche in questo caso si è riaffermato il principio della pericolosità e nocività delle droghe, selezionando nozioni standardizzate, di  carattere teorico-informativo e per lo più relative agli effetti negativi delle droghe.

Eppure, come è risaputo, in molte società studiate dagli antropologi (culture locali ed esotiche del passato e del presente, ma anche sub-culture contemporanee) la socializzazione e uso pubblico delle droghe allucinogene non solo produce l'effetto un maggiore controllo sui possibili abusi individuali, ma annovera tra i suoi scopi sociali primari l'estensione e la trasmissione della conoscenza, la valorizzazione dei significati e delle pratiche condivise, l'espressione e cura dei disagi individuali.  Come per altri elementi del mondo naturale e culturale, gli esseri umani hanno appreso e cumulato nozioni teoriche e saperi pratici sulle caratteristiche psicoattive e modalità di preparazione e assunzione delle sostanze psicotrope, anche dopo la scoperta e diffusione delle droghe sintetiche. Le droghe, la loro classificazione, la loro manipolazione, le circostanze ambientali e rituali e relazionali del loro utilizzo, i loro effetti positivi e negativi, le modificazioni da esse prodotte sull'equilibrio psico-fisico dell'organismo umano, sono stati oggetto di esplorazione, anche metodica, in vari contesti culturali.  E' proprio questo spazio strategico della ricerca e dell'esplorazione che il discorso istituzionale sulle droghe ha storicamente azzerato. Disinformando la gente, spaventandola, reprimendola. 

L'oscuramento istituzionale dei saperi pubblici e condivisi sulle corrette pratiche di utilizzo di molte droghe e ancor di più sulle tecniche mentali e rituali necessarie al controllo dei loro effetti, impedisce di vedere come il nostro stesso consumo sia il prodotto di queste pratiche e di questi saperi. In essi, come in ogni sapere, sono ricomprese le dimensioni intersoggettive della ricerca, della sperimentazione, della comparazione, del metodo, della scoperta, della comunicazione. Se ci fosse concesso di parlare di questi saperi e pratiche come di un patrimonio, potremmo dire che quest'ultimo è stato disperso nel tempo e nello spazio, e che nelle società contemporanee i tentativi di conservazione, ricostruzione, tutela e innovazione, seppur presenti, sono ancora troppo rari, in molti casi inconsci, e quasi sempre repressi.

 E' dunque importante discutere delle trasformazioni che la pubblica condivisione di questo patrimonio potrebbe apportare non solo nella lotta ai disagi prodotti dall'abuso di sostanze, ma anche nella costruzione di soggettività contemporanee aperte, consapevoli, capaci di controllare i propri processi psichici al di là dell'esperienza ordinaria, di considerare criticamente le circostanze e le conseguenze dell'assunzione, e dunque di espandere gli orizzonti relazionali, emotivi ed intellettuali in modo costruttivo.

L'appello per una riabilitazione ed esplicitazione dei saperi legati all'uso e sperimentazione di sonstanze psicoattive attraverso la comparazione dialettica tra casi individuali e collettivi, presenti e passati, locali o distanti,  rappresenta dunque una sfida pubblica, un confronto aperto tra i consumatori, al di là degli stereotipi dell'evasione e dello 'sballo'. Si tratta della rivendicazione attiva di un diritto, verso l'unificazione delle esperienze, e in vista della  costruzione, fruizione e trasmissione di una 'cultura pubblica delle droghe', in cui il ruolo dei consumatori, da latente, diventi manifesto e sia supportato dalle istituzioni. Porre il problema in questi termini nel dibattito sulle droghe è un impegno pubblico, è l'espressione di una visione collettiva da sempre sommersa e ora pronta ad affiorare. Ed è anche una responsabilità inevitabile a cui oggi è sempre più rischioso sottrarsi, sia come consumatori critici che come cittadini.